Panorama storico a cura di RICCARDO ALLORTO
Un secolo di canti popolari: non è l'antologia del nostro lungo,
avventuroso Risorgimento: piuttosto è la storia dell'anima collettiva
degli italiani, che liberarono
nella fiducia del canto le loro speranze e i loro dolori.
Per i canti con i quali il nostro popolo rincuorò la fede nel futuro,
libero e unito, d'Italia, non c'è epigraf e migliore del monito che
Giuseppe Mazzini levò dalle
pagine della sua Filosofia della musica:
La musica, sola favella comune a tutte le nazioni, unica che trasmetta
esplicito un presentimento di umanità, è chiamata certo a più alti
destini che non son
quelli di trastullar Core d'ozio a un picciol numero di scioperati...
questa musica, che oggi è si vilmente scaduta s'è rivelata onnipotente
sugli individui e sulle
moltitudini, ogni qual volta gli uomini l'hanno adottata ispiratrice di
forti fatti, crogiolo di santi pensieri; ogni qualvolta gli eletti a
trattarla ricercarono in essa
l'espressione la più pura, la più generale, la più simpatica di una fede
sociale..
Negli anni in cui l'esule Mazzini per lenire lo sconforto degli ideali
infranti liberava nella Filosofia della musica i temi della nobiltà
spirituale e della dignità
della vita, proprio in quei melodrammi che l'austero genovese accusava
di .trastullar l'ore d'ozio a un picciol numero di scioperati. si levava
Tirteo, nareva
l'Eroe. Egli si affacciava ai boccascena dei teatri, e cantava nei cori
marziali di Bellini, di Rossini, di Meccadante, di Donizetti e poi di
Verdi; facendosi
schermo di condottieri egizi o romani, di sacerdoti galli o di puritani
austeri egli vagheggiava in accenti vigorosi l'anelito alla libertà che
si spande fremente
nelle platee, sale ai loggioni e di qui viene portato nelle piazze a
ridestare gli spiriti.
I canti civili degli italiani fecero le prime prove tra i cimieri di
cartapesta e le spade di latta, in quella verace finzione di palpiti che
fu il nostro melodramma
romantico, ma tra le convenzionali irrealtà del teatro si allargò un
consenso che divenne popolare, ed il canto acquistò la coscienza di una
coralità compatta.
Tra i primi, Goffredo Mameli rivestì la propria vocazione eroica in
quell'Inno che fu chiamato il Canto degli italiani e che, a cento anni
di distanza, simboleggia
la concordia e la maestà dello Stato repubblicano.
Le giornate del marzo 1848 gioirono di canti; al saluto anonimo del
volontario alla sua donna:
Addio, mia bella, addio, L'armata se ne va;
se non partissi anch'io sarebbe una viltà.
succedono ben presto cori spontaneamente violenti o rudemente marziali;
essi accompagnano le avanzate, rallegrano i bivacchi, rincuorano le
vigilie, incitano
alla lotta: Su, Lombardi, all'armi, all'armi della gloria è sorto il dì.
O giovani ardenti d'italico amore
serbate il valore pel di del pugnar.
E la bandiera dei tre colori sempre è stata la più bella;
noi vogliamo sempre qella noi vogliam la libertà.
Dopo la beffarda sciarada della Bella Gigogin che salutò la
secondatguerra di indipendenza, l'Inno di Garibaldi segnò il
riaccendersi della fede dffOsa a
Custoza e a Novara:
Va fuori d'Italia, Va fuori ch'é l'ora,
Va fuori d'Italia, Va fuori, o stranier.
Subito dopo l'epopea garibaldina che ha unito il Mezzogiorno al resto
dell'Italia si vela delle nostalgie e dei rimpianti dei reduci nel
commosso stornello di
Francesco dall'Ongaro intitolato a Tonina Marinello:
L'abbiam deposta la garibaldina All'ombra della torre a S. Miniato
Con la faccia rivolta alla marina Perché pensi a Venezia e al Lido
amato.
Il lungo silenzio che segue è interrotto prima dagli squilli gioiosi
della Fanfara dei Bersaglieri, poi dalla invocazione a Tripoli bel suol
d'amore in cui la
spedizione libica assume toni di gioia da colorata, mediterranea
kermesse.
La stessa letizia darà il via ai rintocchi della Campana di San Giusto;
ma prima di giungere ad abbracciare le ragazze di Trieste i soldati
d'Italia mescoleranno
il loro sangue al fango del Carso. Le lente avanzate, le ore
interminabili nelle trincee, incidono nelle rocce delle montagne, come
epigrafi, Il testamento del
capitano, Sul cappello, Ta-pum, Quel mazzolin di fiori, Sul ponte di
Bassano: canti rampollati dal cuore del popolo e mescolanti l'incombente
presenza della
morte ai ricordi di gioie profumate della semplicità della vita •
borghese ..
Il canto popolare e civile del nostro popolo non si arrestò qui, né
tacque negli anni successivi, neppure nelle ore buie e disperate in cui
l'invito ammiccarne ad
una . Faccetta nera era ormai un ricordo sfocato, quasi irreale, di
fronte allo smembramento della Patria: un dolore senza speranza, quale è
espresso dalla
grave melodia di Fischia il vento.
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