C'è stato un periodo, in questi ultimi anni di dissenso, in cui l'unica
cosa buona che si poteva portare ad esempio (campo dello spettacolo
compreso) era
Gigliola Cinguetti. Il tutto poteva avere un sospetto di ironia ma alla
fin fine Gigliola era veramente il primo simbolo di qualcosa staccato
dalla
turbolenza e dalla sofisticazione che uno potesse associare. Se si
parlava di felicità era di un tipo « alla Cinguetti », l'ingenuità era
<< alla Cinguetti » e
così la campagna, l'acqua e il sapone, il senso familiare e lo studio.
Non era un mistero per nessuno che Gigliola continuasse a frequentare il
Liceo
Artistico, quando le note della sua << Non ho l'età » collezionavano
premi da Sanremo a Copenhagen. Era così facile dire di no a tutto, nei
periodi più
caldi della ribellione giovanile, che l'unico sì costante lo mieteva
sempre lei. E fino a oggi, se uno deve guardare a cosa è più
avvicinabile Gigliola
Cinguetti, il risultato finisce per dire che sono proprio le cose che i
più scontenti chiedono a gran voce per la società. Gigliola è la parte
serena
dell'anima, il cesto pieno d'oro che si trova alla fine dell'arcobaleno,
la casa intesa come posto dove rifugiarsi quando si ha bisogno d'amore.
E arche
l'amore, sì, ma quello grande, poetico, quello di cui si può parlare con
tutti. Ed è stato così importante questo simbolo, che ce lo siamo
portati dietro dal
momento in cui Io abbiamo incontrato, facendo bene attenzione a non
perderlo con le altre illusioni.
Gigliola non ha fatto niente che non abbiamo voluto, anzi ci ha portato
molte sorprese che non facevano che aumentare l'ammirazione per lei.
Quando decise di diventare attrice lo fece con un « Testa di Rapa » che
si portò via un Leone di S. Marco come migliore film per bambini al
Festival di
Venezia del 1966. Una puntata in letteratura la fece con il
delicatissimo personaggio di Zanze nella trasposizione televisiva de «
Le Mie Prigioni ». E poi
subito dopo un'altra poesia, tutta moderna, asciutta come con la canzone
<< La Boheme » di Aznavour (che ascoltiamo anche in questo album).
Questo
senza dimenticare che nel frattempo continuava quel suo repertorio
musicale detto « senza impegno » ma per cui ci vuole un impegno pazzesco
affinché
riesca a piacere. E il disco d'oro per un milione di copie vendute in
Giappone nel '72 o il successo europeo de: « La Pioggia », sono la
risposta più
esauriente a qualsiasi tipo di dubbio.
Così si scopre che Gigliola non ci ha mai tradito: ha solo cantato la
parte migliore di noi stessi, le nostre emozioni più... azzurre, la
nostra tristezza più
limpida. Le dobbiamo dire grazie per essere stata una sicurezza così
cieca e totale da non averne mai sentita la mancanza durante questi
anni. Ci vuole
dell'arte per riuscire a mantenere così idilliaco un rapporto tanto
importante come quello col pubblico come ha fatto lei. E tra un po',
quando la sua
voce senza problemi riempirà come sempre la vostra stanza, se vi sentite
un pochino meglio, un po' più amati, caldi e sicuri, girate la copertina
di
questo disco e sorridetele. Glielo dovete.
Paolo Limiti
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