Cara Gigliola,
Ti ringrazio di avermi voluto inviare il provino del tuo nuovo LP.
L'ho ascoltato ieri sera e ti avrei scritto subito, se non fosse stato
per la sensazione che ne avevo provato: una sensazione molto bella, ma
che non riuscivo
a definire esattamente. Poi, ad un tratto, come capita quando si ricorda
all'improvviso un nome cercato a lungo inutilmente, ho rivisto la
«taverna» di
casa tua, al Cerro, la sera che abbiamo registrato una delle puntate del
tuo programma radiofonico: la grande tavolata, lo spirito piacevole e
discreto di
quell'ospite perfetto che è il tuo papà, i visi aperti dei tuoi amici
appassionati, come te, della montagna e, come me, del vino buono. Quando
tu
cominciasti a cantare e i ragazzi a farti il coro, io feci partire il
magnetofono. Nacque così la puntata più bella del tuo programma, ma
anche
qualcos'altro: l'immagine, per me, di 'una Gigliola nuova, diversa
rispetto a quella tanto familiare al tuo pubblico. Cantavi le canzoni
che tutti noi
cantiamo o abbiamo cantato almeno una volta, quelle che vengono alla
mente davanti al camino, tra un brindisi e l'altro dell'amico verboso,
tra una storia
,e l'altra dello zio «che ha girato...»: le canzoni del nostro folclore,
quello vero, quello tramandato a memoria dai valligiani dell'Ampezzano e
dai pastori
d'Abruzzo.
E sulle tue labbra d'artista sincera quei motivi si posavano così
spontaneamente che mi sembrò di averteli sentiti cantare da sempre: e,
nello stesso
tempo, di non averti mai conosciuta fino ad allora. Se è nato questo 33
giri, vuol dire che quella mia sensazione non fu mia soltanto. Come ti
dicevo
all'inizio, ho riprovato tutto questo ascoltando il disco.
Ora sono certo che la stessa cosa accadrà a tutti. E, te lo assicuro,
risultato migliore non avresti potuto desiderare.
Tanti cordiali saluti ai tuoi. A presto. |