LA BOHÈME  - OPERA IN QUATTRO ATTI

 
 


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LA BOHÈME OPERA IN QUATTRO ATTI

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ACT 2
ACT 3
ACT 4
 
 

         

 
 

LA BOHÈME OPERA IN QUATTRO ATTI
MUSICA DI GIACOMO P U CCINI
LIBRETTO DI G. GIACOSA e L. ILLICA

PERSONAGGI ED INTERPRETI
Mimi . LICIA ALBANESE, soprano
Musetta . ANN MCKNIGHT, soprano
Rodolfo . . JAN PEERCE, tenore
Marcello FRANCESCO VALENTINO, baritono
Colline . NICOLA MOSCONA, basso
Schaunard GEORGE CEHANOVSKY, baritono
Benoit . SALVATORE BACCALONI, basso
Alcindoro SALVATORE BACCALONI, basso

PETER J. WILHOUSKY, direttore del coro
EDOARDO PETRI, direttore del coro dei ragazzi
ARTURO TOSCANINI - NBC SYMPHONY ORCHESTRA

 
 
By George R. Marek

Torre del Lago era, al tempo in cui Puccini vi si stabilì, un villaggio di forse 120 abitanti, tra Viareggio e Pisa, sulle rive del piccolo e poco profondo lago di Massaciuccoli; s'ergono tutt'intorno montagne scure e le nuvole vi s'impigliano, cosicché spesso ci piove. Tra tutti i luoghi allegri e inondati di sole dell'Italia del nord, Puccini scelse come « suprema gioia, paradiso, Eden, Empireo, torre d'avorio, vas spirituale » come poeticamente scriveva, un posto di non grande bellezza scenica e di aspetto decisamente malinconico.

Tre furono le ragioni che spinsero il compositore a scegliere questa località: Torre del Lago non era un paese alla moda e quindi spendendo relativamente poco si poteva comprare od affittare una casa, si trovava in una posizione che si raggiungeva scomodamente ed infine era un ottimo terreno di caccia.

Poco tempo dopo Puccini si era fatto un gruppo di amici, gente semplice, per lo più artisti di mediocre levatura, che lavoravano nella regione e non erano schiavi del parlar forbito e dei vestiti eleganti ma conducevano una vita sana, quasi identificandosi con i personaggi della Bohème, 31 noto romanzo autobiografico di H. Murger. E questo fu proprio il periodo più felice della vita del musicista: era giovane e senza preoccupazioni finanziarie, i suoi rapporti con Elvira erano ancora buoni, innamorato com'era di
lei; ed era completamente immerso a scrivere un'opera del cui valore era sicuro fin dal principio.

Se la Manon gli aveva dato coraggio, la Bohème era senz'altro un dramma migliore e Mimi più interessante di Ma-non; e dopo il successo di Manon era logico che Giacosa e Illica fossero stati scelti come librettisti del nuovo lavoro. Tra l'altro i due scrittori si completavano a vicenda; Illica era dotato di carattere impulsivo e dava poca importanza alla precisione, che affidava a Giacosa, molto più accurato.

Tuttavia questa nuova composizione sorse fra non poche difficoltà e determinò la rottura dei rapporti amichevoli esistenti tra Puccini e LeoncavalloInfatti quando quest'ultimo apprese dalle stesse labbra del primo l'intenzione di creare della musica attorno ai personaggi dei noto lavoro di Murger, inveì violentemente contro Puccini ricordandogli di avergli proposto anni prima il libro e di aver ricevuto un rifiuto. « Allora decisi di tenerlo per me », disse a conclusione del suo discorso, « e così farò. Uscirà una Bohème con la mia musica e non con la tua ». Sfortunatamente anche Puccini era della stessa idea e affermò: «Allora ci saranno due Bohème! ».
Poi fu la corsa sfrenata alla composizione, e. i due autori si adoperarono febbrilmente affinchè il loro lavoro risultasse il migliore.

L'opera di Leoncavallo comparve un anno dopo quella di Puccini ed ebbe la sua prima rappresentazione alla Fenice di Venezia il 6 maggio 1897. Benchè fosse un lavoro di un certo valore non ottenne grande successo, gettata come fu nell'ombra dal capolavoro di Puccini; d'un certo interesse storico tuttavia rimane il fatto che Caruso ottenne con questa opera i suoi primi applausi.

Per quanto riguarda invece la composizione del rivale,il libretto di Illica contava in un primo tempo non meno di venti atti e prima che questi fossero ridotti a quattro e i versi suonassero passabili trascorsero tre lunghi anni. Finalmente, nel dicembre 1895, la prima dell'Opera fu fissata per il carnevale, a Torino, nonostante le continue e vivaci pressioni degli altri teatri per avere l'onore di tenerla a battesimo.

Il direttore è stato già prescelto nella persona di Arturo Toscanini, un giovane di appena 28 anni che si è fatto un certo nome in Italia e che già comincia ad essere conosciuto all'estero e a ricevere le prime lusinghiere offerte.

La sera della prima un pubblico scelto affolla la sala, ed in mezzo ad esso si possono notare alcuni dei compositori più conosciuti. Alla fine del primo atto, Puccini è chiamato più volte alla ribalta, il secondo ed il terzo si chiudono con applausi e consensi, ma il quarto atto è quello che conquista veramente tutto il pubblico. Ascoltato con la più grande attenzione e con il più grande silenzio, al suo termine fa scattare tutti gli spettatori in piedi, entusiasti, che chiamano Puccini per ben quindici volte ». Tuttavia
questa accoglienza, che pure può considerarsi non tiepida, non raggiunse le altezze di quella che fu riservata alla presentazione di Manon. E vien fatto di chiedere quali furono le ragioni che determinarono ciò, dal momento che l'opera era senza dubbio melodiosa, semplice ed immediata ed aveva tutti i numeri per un completo, sicuro successo.

Si può rispondere che i critici, pur non rivelando palesemente un certo scetticismo, mostrarono di voler giudicare con una certa severità ,unita ad una buona dose di diffidenza ,questo nuovo lavoro del compositore « di moda », forse gelosi del suo successo e che anche il pubblico nella sua « risposta » si era fattoinfluenzare dalla critica, oppure come Toscanini fti d'accordo nell'ammettere, esso si aspettava un lavoro solido, imponente.

A tutto questo si aggiunga il momento in cui fu data la rappresentazione, reso poco propizio da questioni imponderabili che però nel mondo del teatro hanno il loro peso, per avere un quadro completo dell'atmosfera che accolse la Bohème.
Tuttavia l'elevato numero di repliche, a tutto esaurito, compensò l'autore della insufficientemente entusiasta atmosfera iniziale, e l'accoglienza che l'opera ottenne a Manchester nel 1897, al Covent Garden la stagione seguente, a New York nel 1898 una prima volta ed una seconda nel 1900 al teatro Metropolntan, decretarono l'indiscusso successo dell'opera.

«La Bohème» è il lavoro di Puccini che piace di più, è l'opera che ci procura il piacere più immediato e più semplice, pur essendo superata dalla « Tosca » per forza drammatica, dalla « Butterfly » per lirismo, dalla « Fanciulla del West » per l'orchestrazione, dalla « Turandot » per il valore intrinseco della musica. Considerando l'opera nel suo insieme si osserva che essa è un lavoro « a sè stante », una creazione d'arte che ha un suo mondo, un suo stile, staccantesi nettamente dalle altre composizioni e recante chiara l'impronta dell'artista.

E pur essendo Puccini un musicista che amava ripetersi, più di tanti altri, tuttavia egli non ricreò mai più in altre sue composizioni quell'atmosfera e quell'insieme che resero tanto singolare e tanto perfetta la Bohème.

Un'opera, questa, che al pregio indiscutibile già accennato unisce altre positive caratteristiche di un lavoro di successo: la aderenza logica al testo preso come « canovaccio », la coerenza alla propria legge interna e la facoltà di creare in chi ascolta un quadro completo, una completa impressione.
La Bohème è ricca di verismo artistico e se il romanzo da cui ha preso lo spunto è auto-biografico anche la sua musica è tale per l'assoluta fedeltà all'opera letteraria da cui ha tratto lo spunto.

E mentre nella Butterfly Puccini volge la sua attenzione a delineare il personaggio di Cio-Cio-San, arricchendolo di fascino e concretandolo musicalmente e non si preoccupa affatto di dare rilievo agli altri interpreti, facendo di essi solo figure e non personaggi, nella Bohème, Rodolfo, Marcello e Colline hanno una « personalità » inferiore a quella di Mimi, forse solo per cavalleria, e Schaunard, Musetta e Benoît possono considerarsi personaggi di secondo piano, ma non per questo di minore interesse.

Si suole paragonare molto spesso la Bohème alla Traviata, sebbene tale confronto ai conoscitori delle due opere appaia piuttosto azzardato. Infatti esse non hanno in comune altro che l'essere tratte ambedue da due noti lavori letterari, mentre risulterà evidente a qualsiasi osservatore la differenza del carattere delle due protagoniste: più gaia, più leggera Mimi, più s forte* e drammatica Violetta; inoltre mentre la Traviata è senz'altro una tragedia romantica, la Bohème è una commedia romantica con una triste conclusione, che non raggiunge il pathos a cui arriva Verdi nella seconda parte del suo quarto atto.

Tuttavia nella Bohème Puccini dimostra di aver raggiunto un notevole progresso nella padronanza dell'orchestrazione, libera da influenze pseudo-wagneriane, e ricca di un nuovo personale stile. L'intero movimento è più libero, le sue armonie sono più espressive, i suoi colori tonali meno abbaglianti. Con effetti ereditati da Verdi egli unisce l'orchestra alla voce e lascia quest'ultima libera al principio ed alla fine di ogni aria, quasi a creare una cornice all'aria stessa. Questa inizia e termina su di una nota sola come se fosse un « recitativo », raggiungendo l'effetto di una calma e pacata tenerezza; mentre efficaci pause rendono stupendamente la tristezza che si sente aleggiare ad ogni interruzione di frase musicale.

Se è certo che la Bohème non può considerarsi un colosso musicale, senza dubbio dobbiamo riconoscere che è un'opera che rivela appieno i progressi fatti da Puccini e il suo genio musicale; un'opera dalla lunga giovinezza, perché essa rimarrà viva finché i sentimenti che esprime resteranno il fondamento istesso dell'arte da noi vagheggiata. E forse, dopo tutto, non è errato considerarla un'opera  immortale.

LA REGISTRAZIONE
Il 3 e il 10 febbraio 1946, cinquanta anni dopo esser salito sul podio del Teatro di Torino per la prima mondiale, Arturo Toscanini diresse di nuovo l'Orchestra Sinfonica della NBC, unitamente ad uno scelto c cast r di interpreti nell'esecuzione radiodiffusa della Bohème di Puccini.

Questa seconda interpretazione ben diversa dalla precedente per la maturità artistica raggiunta dal maestro e per L'interpretazione di Jan Peerce, Licia Albanese, Francesco Valentino riscosse un notevole successo. I complicati processi acustici ai quali i tecnici della RCA Victor dovettero sottoporre la registrazione originale al fine di migliorarla hanno reso l'incisione che vi presentiamo quasi perfetta; tuttavia l'alto valore storico e critico che i dischi rivestono fanno passare in secondo piano la stessa perfezione della realizzazione tecnica.
 
 

LA BOHÈME OPERA IN FOUR ACTS

 
 

By George R. Marek

Torre del Lago was, in the days that Puccini decided to make it his home, a village of about one hundred and twenty inhabitants. It lies on the shores of Lake Massaciuccoli, between Viareggio and Pisa. The lake is small, shallow, and rather gloomy. It is surrounded by dark green mountains which imprison the rain clouds. It rains often in Torre. With all the cheerful, sun-drenched or dramatic landscapes of Northern Italy from which to choose, Puccini chose as his " supreme joy, paradise, Eden, the Empyrean, turris eburnea, vas spirituale, kingdom " (as he rhapsodically wrote), a spot of no very great scenic beauty and of a rather somber aspect. Three considerations prompted him. First, it was not a celebrated resort and therefore a house could be rented—and later bought  at little expense. Second, it was inaccessible. Third and most important, it was an ideal hunting ground.

His " vagabond companions " were both the simple people who lived in the village and a small group of painters who worked in the region and who had formed themselves into a " Torre del Lago group. " The pranks that the men played, the language that they used, the studied contempt for regular dress and regular meal hours which they professed, seem all to be taken from La Vie de Bohème, Henri Murger's rich, episodic and autobiographical novel.

This was the happiest time of Puccini's life. He was young, free of money worries, his life with Elvira was still relatively untroubled, he was still very much in love with her, and he was deeply immersed in the creation of an opera of the worth of which he was sure from the very beginning. Manon had given him confidence. La Bohème he knew was a better drama, Mimi a more interesting girl than Manon.

After the success of Manon, it was logical that Giuseppe Giacosa and Luigi Illica should be chosen as the librettists of the new work. The two men complemented each other. Illica, the quick-tempered, was also the quick-witted one. He cared very little about the exact word. This he left to Giacosa, the better, the more careful writer.

The choice of La Bohème led to a break with Leoncavallo. The two men were sitting in a café in Milan when Puccini said, " I have found a libretto of which I am absolutely enamored. " " Which one? " asked Leoncavallo.

It is based on a French novel, La Vie de Bohème." Leoncavallo bounded from his seat. " What! Don't you remember, " he cried, " that I suggested Bohème to you, thatyou told me you had no interest in it? When you didn't want it, I decided to use it for myself. Yes, I am going to set it to music, not you. "
" Then, " said Puccini, " there will be two Bohèmes."

Leoncavallo immediately ran to the editor of the Secolo to announce his plans and to attempt to forestall Puccini. On the morning after this newspaper informed its readers that Maestro Leoncavallo was at work on an opera taken from Murger's novel. Another paper of the same day, Il Corriere della Sera, carried the news that Puccini was at work on a new opera to be called La Bohème.

Leoncavallo's opera appeared the year after Puccini's opera. It was first given on May 6, 1897, at the Fenice Theatre in Venice. Though it is a work of some quality, it never became popular. It was immediately overshadowed by Puccini's masterpiece. It has some slight historic interest because Caruso scored his first success in the Leoncavallo work.

Illica's first distillation from the novel ran to no fewer than twenty acts. Before these twenty were reduced to four, and before they were set to satisfactory verses, there years were to elapse. After it was over, Giacosa said, " I used up more paper for a few scenes of Bohème than for the whole of any of my dramatic works."
It is December, 1895. The première of the opera is now fixed for Turin for the coming carnival season. Other theatres are clamoring for the work. Rome, Naples, and Palermo have definitely spoken for it. The conductor for the world première has been chosen. Bohème is to be directed by the new conductor of the Regio Theatre, Arturo Toscanini. Toscanini—now twenty-eight years old—had already made a name for himself in Italy.

The opening night of Bohème (February 1, 1896) was equally as well attendend as that of Manon, its audience equally studded with celebrities—including Mascagni but certainly not including Lponcavallo.

Bohème proved to be, that night, a success but not an overwhelming one. At the end of the first act Puccini appeared three times before the curtain: three curtain calls were hardly an overwhelming reception.

The second act pleased indifferently, the third act more so, the curtain falling " amidst acclamations and applause. " The fourth act was the one which received the most favor from the public. " Mimì's death scene, listened to with the most ardent attention and in greatest silence, created the most favo-
rable impression. The public jumped to its feet in great enthusiasm. Puccini presented himself five times. Total fifteen curtain calls. " (Fanfulla, February 3, 1896.) Fewer, indeed, than for Manon.

What was the reason that this wonderful opera, so easy on the ear, so replete with melody, so ingenuous and direct in its subject, did not at once induce the audience to hug it to its heart?

There must have been several reasons. As to the critics, they may have, if only subconsciously, been prompted by the kind of truculent skepticism which is occasionally advanced against the successful composer. They may have decided that the new opera should be looked at through sharp lenses. They were not going to be persuaded easily. This is mere speculation. However, it is probable that many of the critics were plainly jealous of Puccini's success.
It is possible that the première of Bohème took place at the wrong time. Such things are possible in the world of the theatre, where mood is influenced by many intangibles.
Bohème may have disappointed the critics (and, to an extent, the public) because they had expected something on a grander scale, a weightier work. Arturo Toscanini himself thinks that this may have been the reason for the equivocal reception.

The public spoke more decisively at the second performance. They decided not to agree with the critics. More and more were they charmed by the opera. The enthusiasm grew. At each subsequent performance, Bohème's success became more certain. By the time the season was over, twenty-four sold-out performances had been given a remarkable number for a new opera.

Bohème was introduced to the British public on April 19, 1897, not in London, but in Manchester. With all its handicaps, the Manchester representation was a success, and Bohème reached Covent Garden the following season. Bohème's first appearance in New York occurred on May 16, 1898 at Wallack's Theatre. It did not reach the Metropolitan until December 26, 1900. When it did, it was—here also— a success with the public and a failure with the critics.

It is in my opinion the most successful of his operas, a work of genius. It is surpassed in dramatic force by Tosca, there is more exciting love music in Butterfly, there is to be found subtler orchestration in The Girl of the Golden West, and Turandot contains musical thoughts of greater sweep. Nevertheless, if one were to choose a favorite, the one work most pleasing, the choice would light on Bohème.

Why? What are its special qualities? What is responsible for the charm it exercises?
Taking, at first, a perspective and general view of the opera, one perceives that Bohème is a highly individual work. It has often been noted that a successful work of art creates its own world. Its style is its own, distinctive from the styles of the other works by the same artist, to which of course it bears a family resemblance. Its aura, mood, and imagery are its own.

Two other characteristics are marks of a successful work. One is rightness within the sphere of the work, a logical adherence to its own law. The other is sufficiency of imagination, so that we, who listen or read or look, get a complete impression. In both these respects Bohème meets the test. The opera has perfectly distilled the flavor of Murger's novel. Bohème is a work of artistic truth—that is to say, it is true to itself and successful in portraying what it sets out to portray.

This truthful quality, I believe, is felt instinctively by listeners who are not at all troubled by aesthetic considerations.
It is for this reason, perhaps, that most of the characters in the opera posses vitality. Compare the Bohème personages to those in Madame Butterfly. In Butterfly all Puccini's enthusiasm is expended on Cio-Cio-San alone. The tenor who is a cad and the baritone who shakes his head are merely a black-hearted tenor and a white-haired baritone, hardly fascinating fellows. In Bohème, though Puccini adored Mimi, the others are not stinted. The four friends are differentiated in the music. Three of them, certainly, Rodolfo, Marcello, and Colline, have real personalities. Schaunard is less sharply drawn. Musetta also is interestingly treated by the music. Even the landlord, Benoit, shows a certain spirit in his brief scene which lifts him above similar stock comic figures.

Bohème is often compared to Traviata. The two operas actually have little in common. Traviata is a romantic tragedy, Bohème is a romantic comedy with a sad ending. Mimi is gayer, less careworn and more charming. Violetta loves with truer love. Orchestrally, Bohème is the finer work. In characterization and dramatic interest, it is perhaps also superior to the older opera. On the other hand, Puccini could never match the great tenderness of Verdi. Nothing that he has done can rise to the level of the latter half of Traviata's fourth act.

We can now come closer to the music and state the obvious fact that the opera owes its fame to its melodies. Wonderful melodies they are, soft without being flaccid, sentimental without being flattened by the mushiness which occasionally mars Puccini's music.

In orchestral mastery, Puccini's progress from Manon is remarkable. He has now cast off his pseudo-Wagnerian shackles; and has found his own method of orchestrating. He is no longer content merely to smear orchestral color on to the melodic line, or to repeat the melody in a sighing postlude. The entire movement is freer, his harmonies are more expressive, his tone colors less garish.

He combines orchestra and voice in an effect which he learned from Verdi: the voice part is written on one note, while the orchestra plays varied harmonies. He uses this device every so often at the beginning or the end of an aria, as a frame for the aria. He begins or ends in a monotone, as if this were ordinary speech. The effect he seeks is a quiet and natural tenderness.

The feeling of quiet sadness if often accentuated by another characteristic of Bohème's style, the effect of silence. Not emptiness, but silence. Silence in music is not best expressed by a cessation of sound, but by a dropping of a phrase to incompleteness. It is imaginatively suggested. Puccini does this superbly.I believe La Bohème to be an immortal opera for as long as one dares predict, for as long surely as romanticism remains an ingredient of the art that we cherish. Yes, perhaps after all " immortal " is the word.

THE RECORDING
On February 3 and 10, 1946—fifty years since Arturo Toscanini stepped into the pit of the Regio Opera House in Turin to conduct the world première of La Bohème he led a distinguished cast of singers and the NBC Symphony in two broadcasts given over to a complete performance of the opera he introduced a half century before.In contrast to the Italian première of the opera, these broadcast elicited acclaim from radio listeners throughout the Western hemisphere and had critics coining new superlatives.
The cast assembled to sing under Maestro Toscanini's baton at the broadcasts was a distinguished one. Licia Albanese's Mimi and Jan Peerce's Rodolfo recall memorable moments on the Metropolitan Opera stage. Similary, the Marcello of Francesco Valentino, the Schaunard of George Cehanovsky and the dual roles sung by Salvatore Baccaloni.
To make possible this recording of La Bohème, RCA Victor engineers took off-the-line transcriptions of the broadcasts and subjected them to technical processes that improved them acoustically. The transcriptions were transferred to tape, from which masters were made. These in turn were processed to provide matrices from which these records were pressed.

 
   
   

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